10 Febbraio 2013
San Marcello Pistoiese, Italia
L’incontro con i morti, nel canto XI dell’Odissea, risulta indubbiamente composito, mostrando fonti diverse e successive sovrapposizioni. Ciononostante, nelle sue varie parti, esso presenta una propria coerenza di fondo. Le discordanze nel contenuto lasciano intatta la sfumatura mitopoietica, che collega strettamente la sorte pubblica ai destini privati sia nel disegno stesso che nei singoli episodi dell’opera.
Di contro alla tradizione omerica, in cui i defunti sono impossibilitati al dialogo, poiché non possiedono né emozioni né pensieri, qui l’innaturale colloquio avviene attraverso una libagione sciamanica che non solo concede loro la parola, ma il potere di divulgare la verità:
“E quando là le famose larve dei morti/ avrai supplicato, un montone sacrifica/ e una pecora nera volgendone all’Erebo il capo/ e volgi te stesso al cospetto del fiume:/ anime spesse vedrai apparire dei morti”.
Odissea X, vv. 526-530
Ciascun incontro, in cui i defunti raccontando la vita passata ne rivelano il senso ad Ulisse, si risolve in un’attenzione particolare alla trafila generazionale.
Non a caso la prima anima che Odisseo riconosce nell’Ade è quella di Elpenore che invoca un segno di cittadinanza tra i vivi, una sepoltura che i posteri possano vedere e riconoscere affinché la sua memoria non vada perduta:
“ma bruciami, ornato dell’armi che avevo,/ e un tumolo innalza sull’ido del mare/ grigio: che giunga anche ai posteri il nome/ di quest’uomo infelice”.
Odissea XI, vv. 75-78
La continuità alla quale i defunti omerici si interessano costantemente non riguarda il singolo, ma una porzione significativa dei valori di una comunità. In questo modo la sorte dell’umanità è sempre inserita in un universo di segni comuni sia ai mortali che agli dèi sulla base dei quali è possibile costruire una circolarità del senso tra i vivi e i morti.
In analogia al cap. XXIV della Genesi Biblica in cui il servo Arram, inviato da Abramo in cerca di una sposa per il figlio Isacco, sa riconoscere il segno divino che designa la prescelta, Ulisse sarà capace, secondo Tiresia, di riconoscere il segno per porre fine all’ostilità di Poseidone e fare finalmente ritorno a Itaca (cfr. Odissea XI vv. 133-183).
Addirittura, nell’incontro di Odisseo con la madre, è la stessa Anticlea che diventa emblema della coesistenza tra un sentimento privato e un importante interesse sociale, fino ad oggi travalicato e lasciato in disparte da una chiave interpretativa troppo modernizzante. Essendo figlia del Romanticismo, gran parte della critica novecentesca ha sottolineato soprattutto la parte ‘privata’ del colloquio, i sentimenti tra madre e figlio.
Sebbene non si possa ignorare un coinvolgimento di tipo emotivo e personale, collocato nella parte conclusiva dell’incontro:
“Perchè, madre, svanisci, sebbene/ io brami di stringerti a me, così/ che anche nell’Ade abbracciati possiamo/ di questo triste gemente colloquio godere?”.
Odissea XI, vv. 208-211
Odisseo manifesta fortemente la volontà di verificare le parole di Tiresia sul privilegio reale di Laerte e Telemaco e sulla fedeltà di Penelope (cfr. Odissea XI, vv. 180-190).
L’episodio verte sulla costruzione di una serie di parallelismi in cui la prospettiva delle gerarchie sociali e del potere politico non è mai trascurata: Laerte dorme con i servi, Telemaco banchetta con i primi della città, e Penelope, che piange ogni notte, non ha consentito a nessuno di usurpare il trono di Ulisse.
Giovanni Albergucci, Matteo Bizzarri
Supervisione editoriale a cura di Elisa Lucchesi
February 13, 2013
San Marcello Pistoiese, Italy
The encounter with the dead in the canto XI from Odyssey is without any doubt composed of more parts, showing different sources and next superimposing. Nevertheless, in its different parts, it shows an own basic coherence. The discordances in the content let the mythopoetic shade intact, which links strictly the public sort to the private destinies both to the framework itself and the single episodes of the play.
In contrast with the Homeric tradition, in which the dead are not allowed to dialogue, because they aren’t gifted with any emotions or thoughts at all, here the unnatural encounter takes place by a shamanic libation which not only gives them the word, but the ability to spread the truth:
“E quando là le famose larve dei morti/ avrai supplicato, un montone sacrifica/ e una pecora nera volgendone all’Erebo il capo/ e volgi te stesso al cospetto del fiume:/ anime spesse vedrai apparire dei morti” (Afterword you will have begged there the famous shadows of the dead, make a sacrifice a ram and a black sheep turning its head to Erebus and turn yourself towards the river: thick souls of the dead will appear to you).
Odissea X, vv. 526-530
Each encounter, in which the dead, telling the past life, reveal the sense to Ulysses, transforms into a particular attention to the generational range.
In fact, the first soul which Odysseus recognizes in Hades is the one of Elpenor who invokes a sense of mingling among the living, a burial that the descendants can see and recognize in order to preserve the memory:
“ma bruciami, ornato dell’armi che avevo,/ e un tumolo innalza sull’ido del mare/ grigio: che giunga anche ai posteri il nome/ di quest’uomo infelice” (But burn me together with the weapons I had, and lift a tomb on the Ido of the grey sea: let my name, the name of this unhappy man, arrive to the descendants too).
Odissea XI, vv. 75-78
The continuity in which the Homeric dead are interested, does not consider the individual, but a meaningful part of the values of a community. So that the sort of humanity is always integrated in an universe of signs that shares both to the mortals and to the gods, thanks to which we are able to build a circularity of the meaning between the living and the dead.
In an analogy with the XXIV chapter of Biblical Genesis in which the servant Arram is sent by Abraham to find a wife for his son Isaac, the divine sign designating the chosen one can be found, according to Tiresias, Ulysses will be able to see the sign in order to put an end to the hostility of Poseidon and finally return to Ithaca (Odyssey XI compares vv. 133-183).
Even in the encounter with his mother, it is Anticlea herself who becomes the symbol of the coexistence between a private feeling and an important social interest, until now bypassed and left aside in a way that is altogether too modern. As the daughter of Romantcism a large number of twentieth century critics stressed the “private” part of the interview, the feelings between mother and son.
However, we cannot ignore the emotional and personal involvement of the final part of the meeting:
“Perchè, madre, svanisci, sebbene/ io brami di stringerti a me, così/ che anche nell’Ade abbracciati possiamo/ di questo triste gemente colloquio godere?” (Why are you disappearing, mother, even if I crave to hold you tight, so as, even in Hades, we can be glad of this sad and moaning encounter, by staying embraced?).
Odissea XI, vv. 208-211
Odysseus shows strongly his desire to verify the words of Tiresias regarding the royal privilege of Laertes and Telemachus, and the faithfulness of Penelope (Odyssey XI compares vv.180-190).
The episode focuses on a structure of a sequence of parallelisms in which the perspective of social hierarchies and political power are never neglected: Laertes sleeps with servants, Telemachus feasts with the important people of the city, and Penelope, who cries every night, allowing no-one to usurp the throne of Ulysses.
Giovanni Albergucci, Matteo Bizzarri
Editorial Supervisor: Elisa Lucchesi