Pretty Little Liars
a cura di Giovanni Albergucci, Benedetta Giampietri e Greta Vacchiano
special guest @ UomoMedievale
Che il giuramento di una donna all’amante fosse come una scritta sull’acqua, era giàun “costume” letterario in voga nell’antica Grecia e non solo a Roma.
A tale proposito, sono emblematici l’epigramma XXV di Callimaco, dove Callignoto ha tradito il giuramento fatto a Ionide, e l’epigramma di Meleagro (raccolto nell’Anthologia Palatina, V,8) in cui ritroviamo, in termini analoghi, la “scrittura nell’acqua delle parole dell’amante”.
Per correttezza filologica è opportuno specificare che, in questi due casi, sono gli uomini i “bugiardi”, poiché entrambi i poeti, in sintonia con la concezione erotica e amorosa greca, qui trattano di relazioni omosessuali. Ad ogni modo, quasi sempre è la parte femminile ad essere fedifraga nei confronti di un malcapitato amante.
Ma veniamo a noi: nel Carme LXX di Catullo si fondono il luogo comune della mentalità antifemminista degli antichi, a tratti misogina, secondo il quale le donne sono bugiarde per natura, con un altro luogo comune sull’ipocrita vanità dei giuramenti degli amanti, caratteristico dell’epigramma alessandrino.
La poesia d’amore latina, che sfrutterà nuovamente i medesimi toni maschilisti, supera tuttavia la mera dimensione di cliché letterario.
Catullo non si diletta con la tradizione, ma la rende mediale al collocamento della dolorosa vicenda d’amore con Lesbia in una dimensione universale ed eterna.
L’epigramma del “miser” è una splendida e innovativa variazione su un tema che offriva, ormai, ben poco margine all’originalità. Tutto grazie alla scelta del “soggetto poetico”.
Mentre in Callimaco, infatti, i protagonisti della vicenda rimangono in terza persona, in Catullo dilaga l’io-poeta, che, protagonista di tutto il Liber, è prepotentemente palese anche qui (mea… mihi …).
E’ questa lampante nota autobiografica e intimistica a rinnovare il tòpos delle “scrivere le parole dell’amata sull’acqua”, parlando della propria esperienza di tradimento e conferendo anche all’ultimo verso, al di là del tono proverbiale, puramente frutto dell’arguzia letteraria alessandrina, la vena malinconica dell’esperienza soggettiva.
Una rapida fuga d’amore. Rapida come il vento, come l’irrevocabile scorrere dell’acqua.
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