13 Febbraio 2013
San Marcello Pistoiese, Italia
Citando la fugace apparizione dell’anima di Didone all’interno del libro dei morti dell’Eneide (cfr. supra) abbiamo sottolineato come lo spirito corrucciato della regina suicida ingeneri in Enea un acre rimorso.
Vale dunque la pena soffermarsi almeno un momento su questa tormentata storia d’amore e sui suoi risvolti tragici, solitamente considerati antesignani della proverbiale ostilità tra Roma e Cartagine.
Nell’opera virgiliana, Enea approda con la flotta degli esuli troiani nei pressi della città punica per volere della dea Giunone che, persuaso Eolo, fa scatenare una tempesta sull’eroe e sui suoi compagni. Ad accogliere Enea, nella città cara a Giunone, sarà la regina Didone, esule da Tiro e vedova del virtuoso Sicheo.
Tra i due, per volontà della dea Venere, scoppia una passione travolgente destinata tuttavia a un epilogo tragico, visto che il Fato non renderà possibile la fusione tra i due popoli attraverso il matrimonio. L’eroe comincia a preparare segretamente la partenza pensando in questo modo di affievolire a Didone il dolore inevitabile del distacco.
Ma la regina intuisce e la Fama le conferma che fervono preparativi per la partenza:l’ultima notte trascorre per lei in un’agitazione insonne.
Così al sorgere dell’Aurora, dopo lunghe sofferenze notturne, Didone scorge il porto vuoto e le navi che si allontanavano. Maledice allora Enea e la sua stirpe, augurandosi che un odio eterno divida per sempre i due popoli. La sofferenza amorosa di Didone, che la rende simile a “cerva da freccia piagata”, troverà quiete infine in una morte atroce e autoindotta, al fine di una lenta agonia.
È forse proprio per questo che la sua breve apparizione, ormai come spirito dell’ombra, in Eneide VI appare così toccante: quell’Enea che è apparso insensibile in Eneide IV mostra invece di aver amato Didone, pur non potendo aderire ad un patto di nozze per volere avverso del Fato.
Se avesse potuto, volentieri egli si sarebbe fermato sui lidi di Cartagine ma, come afferma rammaricato, “la legge dei numi […] con la sua forza mi urgeva” (Eneide VI, 461-463).
Ne emerge una visione profondamente pessimistica dell’esistenza umana: i due sfortunati amanti si configurano come ignari del proprio destino e manipolati come marionette dagli dèi per il raggiungimento di scopi che, laddove esistenti, si connotano comunque come imperscrutabili.
A ben vedere si tratta di una prospettiva davvero tragica, i cui echi possono ancora cogliersi nella produzione artistica e letteraria contemporanea (cfr. infra, a questo riguardo, le considerazioni emerse in merito all’opera teatrale “Paladini di Francia”).
Martina Castelli, Alice Guerrini, Maria Ferrari
Supervisione editoriale a cura di Elisa Lucchesi
February 13, 2013
San Marcello Pistoiese, Italy
By quoting the fast apparition of Dido’s soul in the book of the dead from Aeneid (cfr. supra) we have marked how the frowning spirit of the suicided queen engineers into Aeneas a strong regret.
However, it is worth focusing a moment on this tormented love story and on its tragic reveals, usually considered to be precursors of the proverbial hostility between Rome and Carthage.
In the Virgilian play, Aeneas arrives with the fleet of Trojan exiles near the Punic city at the behest of the goddess Juno, who, after having persuaded Aeolus, sets off a storm on the hero and his companions. To welcome Aeneas, in the city dear to Juno, the queen will be Dido, exiled from Tyre and the virtuous Sichaeus widow.
An overwhelming passion begins between the two, by the will of the goddess Venus, which is destined to a tragic outcome, since Fate does not allow the fusion of the two peoples by a marriage. The hero begins to prepare secretly the start thinking in this way to weaken Dido’s inevitable pain of separation.
But the queen guesses that and Fame confirms that the preparations are full-swinging for departure: she spent the last night in a sleepless restlessness.
So at the sunrise, after some long night suffering, Dido sees the vacuum port and the leaving ships. Then she curses Aeneas and his descendants, hoping that an eternal hatred divides forever the two peoples. The love suffering of Dido, which makes her similar to a “cerva da freccia piagata (deer wounded by an arrow)”, it will find peace at last in a painful and self-induced death, after a slow agony.
It is perhaps for this reason that his brief appearance, now as a spirit from shadow, in Aeneid VI is so touching: instead Aeneas that was appeared insensitive in Aeneid IV shows his very strong love for Dido, although they can not join in marriage pact against the wishes of Fate.
If he could, he would have gladly stopped on the shores of Carthage, but as he sadly
says, “la legge dei numi […] con la sua forza mi urgeva -the law of the gods […] urged me with his strength-” (Aeneid VI, 461-463).
What emerges from that is a deeply pessimistic view of human existence: the two unfortunate lovers are configured as unaware of their destiny and manipulated like puppets by the gods to achieve some purposes which, however they exist, are characterized as inscrutable.
On a closer inspection there is a truly tragic perspective, whose echoes can still be marked in a contemporary artistic and literary production (cfr. infra, in this regard, the considerations raised-up on the play “Paladini di Francia -Paladins of France-“).
Martina Castelli, Alice Guerrini, Maria Ferrari.
Editorial Supervisor: Elisa Lucchesi