Il leitmotiv di un film di alto valore morale
di Martina Signorini
Cesare deve morire, dei fratelli Taviani, è un documentario che ha vinto l’Orso d’oro di Berlino e ben cinque David di Donatello a Roma, nel 2012.
Il film racconta l’esperienza particolare di alcuni detenuti del carcere di Rebibbia: la messa in scena, come spettacolo teatrale, del Giulio Cesare di Shakespeare.
Nel fare questo, tuttavia, il film non mostra semplicemente lo spettacolo rappresentato sul palco – a questa parte sono dedicate infatti piccole parti all’inizio e alla fine dell’opera – quanto, piuttosto, ciò che sta ‘dietro le quinte’: la scelta degli attori, i momenti di condivisione, quelli di comunità, di solitudine e soprattutto le prove.
Possiamo affermare che il tema principale affrontato nel film è quello della libertà osservata da più punti di vista: quello dei personaggi interpretati nello spettacolo (Bruto, Cassio, Decio e gli altri congiurati) e quello dei carcerati.
In entrambe le parti in cui possiamo virtualmente dividere l’opera (recita e vita reale) è presente la lotta per conquistare la libertà: i congiurati uccidono Cesare per la libertà del popolo romano, mentre i detenuti fanno attività teatrale per riconquistare la libertà e il diritto di vivere come persone anche in un luogo in cui la libertà ‘fisica’ è ristretta al minimo e non resta altro che quella di pensiero, mentre quella di esprimersi ‘ viene concessa soltanto nei momenti in cui fanno teatro.
In questo film vengono messi in evidenza le speranze e i dolori degli attori non professionisti, ben espressi dagli sguardi e dalle voci cariche di emozione, che hanno un’esperienza di vita tale da consentire loro di comprendere bene ciò di cui stanno parlando e da farli riflettere su ciò che hanno commesso per essere dove sono.
Gli attori usano un linguaggio spontaneo, diretto, non artificioso che rende i pensieri, le riflessioni e i dialoghi reali e non imparati da un copione.
Particolare nel film è la scelta degli attori, che sono veramente ciò che mostrano di essere, nonché la scelta di farli recitare ognuno nel proprio dialetto d’origine – questo aiuta gli attori a esprimere meglio le proprie emozioni – e l’uso del bianco e nero, che rende in modo migliore il senso di drammaticità della situazione.
Oltre a mettere in risalto il valore umano dei carcerati e il loro desiderio di riscatto, il film testimonia anche l’importanza dell’arte, che è capace di cambiare l’animo degli uomini migliorandoli e rendendoli più consapevoli.
A questo riguardo è significativa la frase finale in cui uno dei protagonisti, finito lo spettacolo, tornato nella sua cella, afferma: “ Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione”.
Cesare deve morire è un film importante, ricco di messaggi, pieno di emozioni, speranze, soddisfazioni, ma anche impregnato di dolore e solitudine e proprio per questo adatto a far riflettere sul senso della vita.
Cesare deve morire, di Paolo e Vittorio Taviani, in collaborazione con Fabio Cavalli, con Cosimo Rega, Salvatore Striano, Giovanni Arcuri e Antonio Frasca, Italia, 2012, 76’, Documentario/dramma.