#TwitSofia

I link agli storify pubblicati su @TwitSofia_it:

Apuleio, “La favola di Amore e Psiche”.

Testo a cura di G. Albergucci e B. Giampietri. http://t.co/AzeNlh4IDW

 

Dante Alighieri, “Guido i’vorrei che e Lapo ed io”.

Testo a cura di M. Signorini. http://t.co/6prBba9gnQ

 

Virgilio, Eneide IX, Eurialo e Niso.

Testo a cura di G. Albergucci. Selezione immagini a cura di D. Del Moro. http://t.co/OjJjsUizNl

 

#TWSposi

#unblogdiclasse di @IsaInghirami (feat. @LolingtonPost) è lieta di presentare:

#TWSposi un progetto di @TWLetteratura.

Guest Stars: @LiaCeli @egyzia @gplexousted @AnonimoDel1600 (@IdeeXscrittori).

imageIl  tweetbook di #TWSposi/01 a cura di @IsaInghirami @unblogdiclasse è stato gentilmente offerto da U10:

Eccolo! Il #tweetbook ufficiale di #TwSposi/01, curato da @unblogdiclasse e @IsaInghirami feat @LollingtonPost http://t.co/cZ7rcaNZsC

— Tweetbook (@hiTweetbook) 29 Novembre 2013

Un tweetbook che nasce dalla collaborazione di Tweetbook con gli studenti dell’Istituto OmniComprensivo di San Marcello Pistoiese (PT) che, guidati da @IsaInghirami, hanno coordinato la riscrittura del primo capitolo del romanzo di Manzoni.

Ed ecco i link alla piattaforma storify:

#TWSposi/01 – parte prima

@LoLingtonPost You’ve been quoted in my #Storify story “#TWSposi/01″ http://t.co/Ktqzj4eoju

— Alice CM8 ❤ (@alice_guerrini) 27 Novembre 2013

#TWSposi/01 – parte seconda

@LoLingtonPost You’ve been quoted in my #Storify story “TWSposi/01 parte seconda ” http://t.co/6bQ9dhJtDL

— Alice CM8 ❤ (@alice_guerrini) 27 Novembre 2013

#TWSposi/01 – parte terza

TWSposi/01 terza parte  http://t.co/32Ufc9dZyD #storify #twsposi #unblogdiclasse

— Alice CM8 ❤ (@alice_guerrini) 5 Dicembre 2013

#TWSposi/02

@unblogdiclasse @AnonimoDel1600 @LaPausaCaffe @LoLingtonPost You’ve been quoted in my #Storify story “TWSposi/02 ” http://t.co/BXHWXrX6hP

— Asia  (@AsiaPagliai) 5 Dicembre 2013

#TWSposi/03

@unblogdiclasse @FraCristoforoTW @Tw_Renzo @TWAzzeccaGarbug You’ve been quoted in my #Storify story “#TWSposi/03″ http://t.co/06OzhvbaSZ

— Asia  (@AsiaPagliai) 5 Dicembre 2013

#lapiramidedelcaffè LAB XV

Il caffè delle cinque
a cura di Benedetta Giampietri e Francesca Santi

Giovedì 14 novembre 2013, alle ore 17:00, sul profilo Twitter di #unblogdiclasse si è tenuta l’intervista a Nicola Lecca, che conclude il progetto #LaPiramideDelCaffè.

L’intervista è stata preceduta da una presentazione del progetto di rilettura e recensione dalle ore 16:00 alle 17:00. L’evento si è articolato in otto domande, alle quali l’autore ha risposto con  estremo entusiasmo.

Ecco il link a Storify:

Parliamo come i muti

di Martina Signorini

Quando viene detta la parola “parlare” tutti subito pensiamo a una conversazione orale fatta soprattutto di parole. Ma si può parlare anche scrivendo e se si parla oralmente, parliamo anche con le parole, anche col tono e il volume della voce, ma soprattutto con le espressioni del volto, con lo sguardo e coi gesti. Quindi non solo “i muti potranno parlare” (Caro amico ti scrivo, Lucio Dalla), ma effettivamente parlano già. Parlano, riescono a comunicare, a entrare in relazione con gli altri, anche se non possono pronunciare le parole. A questo si potrebbe obiettare: “parlare” vuol dire solo comunicare oralmente, se fosse qualcosa di scritto useremmo il verbo “scrivere”, se fosse a gesti diremmo semplicemente “comunicare”, magari specificandone il mezzo. Invece no. “Parlare” vuol dire anche “esprimere pensieri o sentimenti con mezzi diversi dalla parola” (Dizionario d’Italiano, Garzanti editore).

Detto questo bisogna sottolineare un altro fatto oggettivo: se i muti parlano esclusivamente attraverso i gesti e le parole scritte, chi può usare la voce come mezzo di comunicazione utilizza comunque il linguaggio non verbale (espressioni del volto, atteggiamenti, gestualità) al 55% (numerose statistiche confermano questo dato). Significa che gli sguardi, le posture, gli atteggiamenti e i gesti durante una conversazione valgono più delle stesse parole, del tono e del volume della voce messi insieme. Questo spiega perché riusciamo a capire se una persona mente attraverso il suo sguardo. E se gli occhi ci dicono che quella persona mente, noi non crediamo alle parole.

L’importanza della gestualità nella comunicazione, per quanto possa sembrare strano, è stata messa in evidenza già in epoca classica, quando quel che oggi chiamiamo “public speaking” si chiamava oratoria. Quest’arte ebbe il suo periodo d’oro in epoca romana e in particolare in quella tardo-repubblicana. In questo contesto storico troviamo nomi quali quelli di Giulio Cesare, Marco Antonio e Cicerone, l’oratore per antonomasia. Quest’ultimo in particolare è universalmente noto come grande oratore. Ma la sua carriera non è fatta solo di successi. Aveva infatti un difficile rivale: Gracco. Questo avversario non aveva la stessa cultura e la stessa preparazione di Cicerone, ma riusciva comunque a vincere le cause ed anche piuttosto spesso. Allora Cicerone  si mise ad osservarlo e giunse a questa conclusione: “l’actio è il fattore preponderante nell’oratoria” (De Oratore, Cicerone). Notiamo bene, a questo punto, quanto sono concordi le sue teorie e le statistiche moderne.

La comunicazione non verbale ha anche un grande vantaggio in una società globalizzata come la nostra: si può spingere oltre i confini delle nazioni. Se noi parliamo in italiano, per esempio, possono capirci solo gli italiani e chi ha studiato la lingua; se parliamo in inglese nell’UE o negli USA ci capiscono quasi tutti, in Russia, a seconda delle zone, potremmo non trovare una persona che lo parla. Un sorriso, uno sguardo poco rassicurante, un occhiolino, un bacio o anche gesti poco garbati sono internazionali, se non in alcuni casi universali. Certo questo non si può dire per ogni gesto: se per esempio vediamo due uomini che si baciano sulla bocca, pensiamo una cosa sola, mentre nell’ex URSS, soprattutto fra politici, era una cosa normale e avevano altri motivi per farlo. Sicuramente se non si conosce bene una cultura è meglio non compiere gesti che potrebbero sembrare provocatori od offensivi, però avere il sorriso sulle labbra e guardare una persona mentre parla è sempre meglio che non tenere un’espressione arrabbiata o far finta di non sentire. Altra cosa importante da dire: sentire è una cosa, ascoltare un’altra, capire un’altra ancora. Sarebbe meglio riuscire in tutte e tre, ma se chi parla si rende conto che il suo interlocutore non ha capito, ma ha ascoltato, rimane certamente meno deluso perché c’è comunque comunicazione e quindi si riesce ad avere una relazione.

III Liceo Scientifico

#Basia1000/00#Basia1000/00

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Anche le rose più belle hanno le spine

Catullo (84-54 a.C. ca) è di origine veronese e appartiene ad una nobile famiglia. Intorno ai vent’anni prende un treno di sola andata per Roma, qui conduce uno stile di vita libertino assieme agli amici del suo circolo letterario: i neoteroi.

Questi incentravano i loro componimenti e la loro esistenza sull’otium e sui suoi piaceri: il sentimento amoroso era totalizzante per la vita.

Catullo, sotto l’influenza dei lucchetti di Ponte Milvio, si innamora di Lesbia, che in realtà si chiamava Clodia, la quale era una bellissima femme fatale sposata che intratteneva molteplici relazioni adulterine. Il poeta racconta la sua love story nel Liber, costituito da centosedici carmi e diviso in tre sezioni: nugae, carmina docta ed epigrammata.

Lo scenario amoroso si apre con Lesbia ritratta in atteggiamenti dolci e delicati, mentre gioca con il suo adorato passerotto e in seguito mentre lo piange dopo la morte di questo (carmi II-III). L’amore tenero e delicato si tramuta in passione travolgente; Catullo vuole accumulare senza sosta un enorme numero di baci, per godere a pieno della momentanea felicità (carmi V-VII). Inizia poi l’inevitabile crisi, la quale, tranne che per momentanee riconciliazioni, aumenta sempre più (carme VIII). Infatti il povero innamorato scopre gli innumerevoli tradimenti e cade in una forte depressione (carme XI). La relazione amorosa è ufficialmente conclusa, ma non lo sono invece le sofferenti pene d’amore per il poeta.

Oltre ad adottare uno stile di vita bohemiéne, il povero Catullo si sfoga nei suoi giambi: prima insultando con pesanti volgarismi i suoi rivali e la stessa amata (carme XXXVII), poi riversando in essi tutta la sua immensa disperazione.

Ormai inguaribile racconta a Lesbia la loro relazione, e l’accusa di costringerlo ad amarla ma anche a non volerle più bene (carme LXXII). Infine Catullo racconta così il suo amour fou, il suo straziante dilemma:

“Odio e amo. Forse chiederai come sia possibile; non so, ma è proprio così, e mi tormento.” (carme LXXXV, traduzione di Salvatore Quasimodo)

Translation by Simonetta Brun

Even the most beautiful roses have thorns

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Catullus, (84-54 B.c ) is from a noble family of Verona . In his early twenties he travels to Rome on one-way train. Here he leads a libertine lifestyle together with his friends of the literary circle: the neoterics.

Their compositions were mainly focused on their existence and on “otium” and its pleasures: the loving sentiment was totalizing for life.

Catullus, under the influence of the padlocks of Ponte Milvio, falls in love with Lesbia, who’s real name was actually Clodia, she was a beautiful married femme fatale who entertained numerous adulterous relationships. The poet narrates his love story in the Liber which consists in hundred sixteen carmina and is divided in three sections: nugae, carmine docta, and epigrammata.

The amorous scenery opens with Lesbia portrayed in endearing and delicate attitudes while playing with her beloved sparrow and subsequently when she weeps him after his death ( carmina II-III).
The tender and delicate love transforms in overwhelming passion; Catullus wants to accumulate incessantly an enormous amount of kisses to fully enjoy the temporary happiness (carmina V-VII).
The inevitable crisis begins, which except for temporary reconciliations increases evermore (carmen VIII).
Sure enough, the miserable lover discovers the countless betrayals and falls into a strong depression (carmen XI). Their love affair is officially over but not so the poet’s love sufferings.

Besides adopting a bohemian lifestyle, Catullus is so miserable that he gives vent to his giambi (Iambus): first insulting with harsh obscene words his rivals and a his beloved (carmen XXXVII), then pouring into them his immense despair.

By now incurable, he tells Lesbia about their relationship accusing her to force him to love her but also not loving her anymore (carmen LXXXV):

Odi et Amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

I hate and I love. You ask me to explain, perhaps.
I don’t know. But I feel it happen and the pain is dreadful.

#Basia1000/87

Bella senz’anima

a cura di Giovanni Albergucci, Matteo Bizzarri e Cosimo Santalmasi.

Guest star @IdeeXscrittori

A livello metrico e sintattico, il carme 87 è uno dei componimenti più brevi e sobri redatti dal poeta:

l’opera è costituita da due distici elegiaci, formati da periodi brevi e lineari.

Nonostante l’apparente semplicità ogni termine, accuratamente scelto, può essere spunto per profonde riflessioni.

Nell’opera, rivolgendosi a Lesbia, il poeta ribadisce ancora una volta la purezza e la fedeltà assoluta al suo patto d’amore: sostiene infatti che nessuna donna sia  mai stata amata tanto quanto lei e che nessun foedus sia mai stato rispettato tanto fedelmente quanto quello amoroso che legava i due amanti, da lui.

Questo componimento era stato in passato unito, dai critici, al carme 75, nel quale l’autore ammetteva con rammarico l’imprescindibilità del foedus con la donna, patto che ormai gli recava solo dolore.

In realtà, vi sono significative differenze tra le due opere: in questa infatti, la sua riflessione è più matura e cerca di analizzare la situazione in maniera più distaccata, nonostante nel primo distico le sue parole tradiscano sofferenza e all’ultimo verso l’aggettivo “tuo” rompa la neutralità che cercava di conseguire.

Un altro carme a questo molto vicino tematicamente è il 76, nel quale l’autore prega gli dei affinché lo liberino dalla sofferenza amorosa, poichè dispera ormai che Lesbia possa ricambiare il suo sentimento.

Il ritorno di Catullo su questo tema dà la sensazione di una sua fissità allucinata e sofferta.

Non pare in grado di superare il distacco da Lesbia e ormai la donna è divenuta per lui un’ossessione.

Nei due distici sono significative le allitterazioni di “nulla”, all’inizio di essi, e di “meast” (o “mea est”), alla loro chiusura: questi termini evidenziano la particolarità e unicità dell’esperienza catulliana.

Vere”, riferito ad “amatam”, viene collocato, grazie ad un enjambement in posizione enfatica, a sottolineare la profondità del sentimento provato dal poeta.

Tantum… quantum…” sono gli avverbi utilizzati per distinguere l’amore superficiale provato dai più, e quello sincero e travolgente che aleggia nel cuore di Catullo.

Fides” rappresenta la lealtà e l’onestà imprescindibili in un foedus.

A questo termine sono riferiti gli aggettivi “nulla” e “tanta”, che ne definiscono la peculiarità e l’importanza.

(in) foedere” di solito questo termine veniva usato per indicare i patti e gli accordi ufficiali, sia fra privati che fra popoli.

Qui il poeta lo usa per indicare il contratto amoroso che lo lega a Lesbia e al quale è totalmente votato e fedele.

Tuo”, collocato all’ultimo verso, rappresenta la caduta dal riflessione pacata all’interlocuzione diretta verso la destinataria dell’epigramma.

Inoltre “amore tuo” non è da intendersi come “il tuo amore (verso di me)”, ma come “(il mio) amore verso di te”, con il quale sottolinea l’unidirezionalità del suo sentimento, considerato sia sensuale che spirituale.

reperta est” ed altri elementi del testo sottolineano il rimpianto per un felice passato, ormai perduto.

Ecco il link allo storify:

#Basia1000/86

 Il tempo delle mele (marce)

a cura di Chiara Bugelli, Gloria Ceccarelli, Asia Pagliai e Ilaria Sichi.

Guest star @ItsCetty

L’amorevole dolcezza de Il tempo delle mele. Tuttavia avariate.

Catullo, amante e pregiato scrittore di colte e raffinate love stories, tenta di sbancare in un campo ancora inesplorato alla ricerca della completezza e della perfezione formale: vuole sfondare nel mondo cinematografico.

L’amore profondo, incondizionato e totalizzante che nutre per Lesbia, prima narrato nel Liber, adesso diventerà un capolavoro del cinema hollywoodiano, degno di un Oscar.

Un film travolgente e senza pari che racchiude in sé tutte le esaltazioni del Sentimento per eccellenza: l’Amore. Tratta sia l’estrema felicità, allegria, spensieratezza di un innamorato felice, sia i dolorosi tormenti e le infinite pene di un amante tradito.

Per interpretare la bellissima Lesbia si presenta ai casting, quasi con prepotenza, Quinzia.

La ragazza formosa est multis (v.1) è bella per tanti e ha una bellezza convenzionale: carnagione chiarissima, statura e fisico ben proporzionati. Son questi pregi innegabili, validi a definirla una bella ragazza, ma a Catullo questo non basta.

Quinzia non è caratterizzata da venustas (v.3). E’ bella e sa di esserlo, ma non valorizza questo particolare, poichè cotanta bellezza è limitata all’aspetto esteriore. Non ha bellezza nel carattere, nella voce, nell’essere.

Lesbia possiede una bellezza strabiliante, con tratti di singolarità che rendono il suo personaggio inimitabile. La venustas é in ogni parte del suo corpo e della sua anima, la caratterizza come se le scorresse nel sangue, come un tratto unico al mondo mostratosi in lei nel massimo dello splendore:

una omnis subripuit Veneres (v. 6).

Lesbia è sintesi d’ogni grazia di Venere. Niente e nessuno potrà essere bello e perfetto quanto lei.

La bellezza di Lesbia è come una perfetta e ammirevole statua di marmo, potrà subire lievi danni dal tempo, ma non perderà mai il suo ardore.

Catullo ricorderà sempre la sua amata come una bellissima donna con il cuore di pietra. Mentre in quello del povero poeta è in corso una tempesta di neve: freddo nell’anima, ghiacci affilati lo trafiggono.

A fine proiezione gli spettatori andranno via in preda a una forte battaglia interiore, l’happy ending tanto atteso e inutilmente sperato non arriverà mai; continueranno a cercare mentalmente un finale migliore, ma invano.

Lo stesso Catullo per molto tempo si è aggrappato alla speranza di una soluzione ai suoi tormenti; non ha mai smesso di amare Lesbia. Inesorabilmente poi, come una doccia gelata, la realtà è arrivata ad aprirgli gli occhi: non potrà mai esistere un lieto fine in una tale tragedia, non potrà mai esserci un sorriso di sfondo, nemmeno di quelli più falsi.

Il miser Catullo sa che l’unica possibile tragica e triste fine ai suoi tormenti sarà la sua morte.

Ecco il link allo storify:

#Basia1000/75

E (non) vissero per sempre felici e contenti

a cura di Giovanni Albergucci, Matteo Bizzarri, Gloria Ceccarelli, Stefano Martelli, Emanuele Petrucci

Guest star @VentoTagliente

Questo breve epigramma, scritto in distici elegiaci, ha per protagonista l’amore – ormai agli sgoccioli –  tra Catullo e Lesbia.

L’animo del poeta è tanto tormentato, per il venir meno delle promesse di Lesbia (cfr. carme109), da creare una scissione del sentimento amoroso.

Il Poeta è afflitto dall’impotenza di non riuscire a voler bene a Lesbia, anche se questa diventasse la migliore fra le donne (nella traduzione proposta da Utet, un “giglio”).

D’altro canto dichiara di non poter smettere di amarla, anche se compisse le peggiori nefandezze.

L’huc, a inizio del testo, indica il livello di svilimento dell’anima del Poeta, che constata con smarrimento il proprio degrado psicologico.

La contrapposizione mens mea/ tua culpa – evidenziata dal chiasmo iniziale – pare che  intrecci gli aggettivi possessivi in una sorta di nodo, sottolineando la vitalità per  Catullo di questo rapporto amoroso, nonostante gli effetti disastrosi che produce.

La congiunzione ita, a inizio del secondo verso, rimarca il valore espresso da huc, rinforzandolo ulteriormente.

Il venir meno al patto da parte di Lesbia riprende un concetto già espresso nel carme 109: quello del foedus.

In quest’ultimo carme, infatti, il Poeta chiede agli dei che il loro patto di inviolabile amore possa durare in eterno; al contrario, nel carme 75, le speranze vengono infrante da Lesbia.

In questo componimento, come nel carme 72, si ribadisce la tormentata differenza tra amare e bene velle, ovvero tra l’amore esclusivamente passionale e il dolce voler bene.

Questa contrapposizione richiama alla mente quella di odi et amo del carme 85, poiché Catullo ama e odia insieme Lesbia,  delizia e fonte di dolore al tempo stesso.

In tale carme, tuttavia, la contrapposizione tra amore e odio assume una valenza universale, all’interno della quale i due protagonisti svaniscono.

In conclusione, questo breve componimento, conferma l’immensa sofferenza di Catullo, sottolinenando sempre più il deterioramento del rapporto amoroso.

Ecco il link allo storify:

#Basia1000/85

‘Ed ogni petalo, sai, si finge di essere una rosa
a cura di Benedetta Giampietri e Francesca Santi

C’è stato un tempo in cui Catullo provava amore per Lesbia.
Solo quello. Nessuna delusione, menzogna, rimpianto, rimorso o alcun tipo di tradimento.

C’è poi uno specchio: uno specchio di carta dove Catullo sembra potersi guardare indietro. Poter tornare alla mea puella che gioca con un passerotto, e subito dopo essere catapultato nella salax taberna.

Sono lacrime amare quelle del poeta.
Sono lacrime d’inchiostro.

Un inchiostro che sembra ormai scorrergli nelle vene e renderlo sempre più consapevole di ciò che Lesbia gli ha fatto: lo ha ferito, lo ha tradito, lo ha ucciso.

Così si compone il carme 85: un urlo di dolore che parte dallo stomaco, in tutta la sua forza e pienezza, ma che poi si blocca ed emette solo un silenzioso sospiro. 

Odi et amo, afferma Catullo con semplicità, ‘io odio e amo’. Ed è proprio dietro quella apparente semplicità che si nasconde un’accurata e ben meditata elaborazione artistica: un ossimoro perfetto, una gemma poetica.

 Non servono tanti giri di parole per esprimere quello che prova. Lui odia Lesbia, ma la ama allo stesso tempo, non sa come possa essere possibile, ma è così. È questa scioccante consapevolezza che ha affascinato, ed affascina ancora oggi, i poeti di ogni generazione.

Excrucior, quale termine migliore per esprimere quello che prova? Lui si ‘tormenta’, come un uomo in croce costretto a sopportare atroci dolori. Dolori interni, dolori che lo portano a non saper cosa fare: ascoltare il cuore o la mente?

Tutto ciò che vorrebbe sarebbe svegliarsi da questo incubo e tornare a sognare vicino a Lesbia,

ma come se non sta dormendo?

Ecco il link a storify: