#Basia1000/83

Buonasera dottore
a cura di Asia Pagliai, Ilaria Sichi, Gloria Ceccarelli e Giulia Mucci.

All’intero del carme 83, per mezzo di un’ epigramma frizzante, Catullo cerca di ricordare i tempi passati e il dolore che gli sta provocando la relazione con Lesbia.

In particolare utilizza un linguaggio “popolaresco” con il quale tende a sottolineare la sua ira e il suo forte impulso emotivo.

Di fatti critica l’ attegiamento di perfidia che la donna amata ha nei suoi confronti: “Lesbia mi praesente viro mala plurima dicit, Lesbia davanti al marito non fa parlar male di me. (v.1)

Il poeta ,inoltre, tende a recare offese al marito di Lesbia, apostrofandolo con il termine mule, cretino (v.3).

Secondo alcuni critici il vir citato è il presunto Quinto Cecilio Metello Celere, marito di Clodia Maggiore.

Il carme, pertanto, sarebbe anteriore alla morte di Metello collocata nel 59 a.C..

Al contrario, secondo altri, il termine vir ha una connotazione completamente opposta: infatti gli attribuiscono il significato di amante, facendo riferimento a Catullo stesso.

Nei versi successivi il poeta sostiene che, se Lesbia lo avesse rimosso dai propri ricordi, non avrebbe perso tempo a diffamarlo. Lesbia, invece garrit, starnazza mentre parla con il  marito.

Con ciò si sottolinea il fatto che non solo la donna rievoca gli eventi vissuti con l’amante, ma bensì presa da un sentimento di ira profonda che la brucia.

Negli ultimi versi Catullo dice: hoc est uritor et loqutur, insomma parla perchè brucia (v.8).

Ad ogni modo il poeta non si limita solo ad interpretare le parole che Lesbia rivolge al marito come causa della propria ira o come espressione di un ricordo pregresso, bensì lo attribuisce all’atteggiamento della donna un senso di credibilità.

Catullo vede questo suo vilipendio come prova del sentimento amoroso che Lebia  prova nei suoi confronti.

A tutto questo si affianca una presunzione simmetrica con cui il poeta delinea i propri sentimenti: vige un’ambiguità emotiva d’amore e di odio che avvolge entrambi gli animi dei protagonisti, sia la donna fedigrafa, che l’innamorato tradito.

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#Basia1000/72

La guerra nell’anima

a cura di Alice Guerrini, Maria Ferrari, Chiara Sichi, Martina Signorini

“E maledico il giorno che ci ha unito e questo che ti vede andare via” – cantava Massimo di Cataldo. Sicuramente questa canzone sarebbe stata in cima alla playlist nell’i-pod del nostro sfortunato Catullo.

La frivola Lesbia non ha rispettato “il reciproco patto d’amore” e Catullo ormai riflette sui suoi sentimenti e sulla loro trasformazione dopo tutte le ferite ricevute.

L’infedeltà fa nascere nel poeta un vero e proprio conflitto interiore tra il “bene velle”, il voler bene e l’amore inteso come desiderio e piacere fisico: il tradimento lo fa bruciare sempre più di passione, mentre l’affetto svanisce volando via nel vento come le promesse dell’amata.

Diviso a metà tra passato e presente, Catullo, con l’uso sapiente di avverbi e tempi verbali diversi, evidenzia nel suo carme, composto in distici elegiaci, come un tempo volesse bene a Lesbia e come adesso quella crepa nata tra l’affetto e l’amore si sia inesorabilmente trasformato in una profondo baratro.

Catullo sposta l’attenzione sul tipo d’amore che provava per Lesbia, che non era certo quello che si ha per un’amante, ma piuttosto simile all’affetto che un ha padre nei confronti dei propri figli. Questo sentimento però appartiene già al passato, perché ormai Lesbia non vale più niente per lui, rimane soltanto una donna che non ha esitato a ferirlo senza alcuno scrupolo.

Il nostro eroe ha tuttavia una piccola consolazione: ha la certezza di essere rimasto fedele al patto; non ha niente da rimpiangere, se non forse l’aver donato troppo sé stesso ad una donna che tutto avrebbe meritato meno che un amore sincero.

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#Basia1000/70

Pretty Little Liars

a cura di Giovanni Albergucci, Benedetta Giampietri e Greta Vacchiano

special guest @ UomoMedievale

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Che il giuramento di una donna all’amante fosse come una scritta sull’acqua, era giàun costume letterario in voga nell’antica Grecia e non solo a Roma.

A tale proposito, sono emblematici l’epigramma XXV di Callimaco, dove Callignoto ha tradito il giuramento fatto a Ionide, e l’epigramma di Meleagro (raccolto nell’Anthologia Palatina, V,8) in cui ritroviamo, in termini analoghi, la scrittura nell’acqua delle parole dell’amante.

Per correttezza filologica è opportuno specificare che, in questi due casi, sono gli uomini i bugiardi, poiché entrambi i poeti, in sintonia con la concezione erotica e amorosa greca, qui trattano di relazioni omosessuali. Ad ogni modo, quasi sempre è la parte femminile ad essere fedifraga nei confronti di un malcapitato amante.

Ma veniamo a noi: nel Carme LXX di Catullo si fondono il luogo comune della mentalità  antifemminista degli antichi, a tratti misogina, secondo il quale le donne sono bugiarde per natura, con un altro luogo comune sull’ipocrita vanità dei giuramenti degli amanti, caratteristico dell’epigramma alessandrino.

La poesia d’amore latina, che sfrutterà nuovamente i medesimi toni maschilisti, supera tuttavia la mera dimensione di cliché letterario.

Catullo non si diletta con la tradizione, ma la rende mediale al collocamento della dolorosa vicenda d’amore con Lesbia in una dimensione universale ed eterna.

L’epigramma del miser è una splendida e innovativa variazione su un tema che offriva, ormai, ben poco margine all’originalità. Tutto grazie alla scelta del soggetto poetico.

Mentre in Callimaco, infatti, i protagonisti della vicenda rimangono in terza persona, in Catullo dilaga l’io-poeta, che, protagonista di tutto il Liber, è prepotentemente palese anche qui (mea mihi ).

E’ questa lampante nota autobiografica e intimistica a rinnovare il pos delle scrivere le parole dell’amata sull’acqua, parlando della propria esperienza di tradimento e conferendo anche all’ultimo verso, al di là del tono proverbiale, puramente frutto dell’arguzia letteraria alessandrina, la vena malinconica dell’esperienza soggettiva.

Una rapida fuga d’amore. Rapida come il vento, come l’irrevocabile scorrere dell’acqua.

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#Basia1000/60

Belva che abbaia non morde

a cura di Martina Castelli, Maria Ferrari, Niccolò Milazzo e Andrea Ceccarelli

special guest @gplexousted

Riuscirà mai Catullo a dimenticare la spietata Lesbia? Sicuramente non nel carme 60, dove ancora una volta dà in pasto il suo cuore alla belva più feroce di tutte.

Quella leonessa che ogni giorno si nutre dei suoi sentimenti è insaziabile e crudele.

Nessuno scrupolo, nessuna pietà, nessun pudore: ecco chi ha amato Catullo e chi tutt’ora ama.

Il timore di voler dimenticare Lesbia è più grande della paura di non essere amato e questo sentimento persistente di dolore riesce a sopraffare, ancora una volta, lo sfortunato amante.

Catullo si aggiunge all’interminabile lista di amanti piantati per capriccio, accecati inesorabilmente da quell’assassino a sangue freddo chiamato “Amore”.

Fatevene una ragione, amanti di tutto il mondo!

Questo appello è lanciato da esperti: smettete di soffrire per chi non vi merita, state sprecando lacrime preziose. Vi state disperando per chi non ve lo ha chiesto, ma soprattutto vi state uccidendo nel modo più crudele, disumano e doloroso di tutti.

Abbandonare, tradire, dimenticare: verbi troppo spesso affiancati, che si bulleggiano nella grammatica dell’amore elargendo dolore e patimenti gratuiti.

Perché allora non considerare Arianna? Mollata sull’isola di Nasso dall’infedele di turno, Teseo, in un abbandono non tanto psicologico, quanto fisico. Provate a immaginare come deve essere svegliarvi da soli, su un’isola sconosciuta e scorgere il vostro amore su una nave ormai lontana, che, spavaldo, vi ha volontariamente dimenticato. In due situazioni diverse ma che vanno volentieri a braccetto, inutile fare a gara a chi ha subito più angosce, perché alla fine tutti ci rimettono e tutti soffrono.

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#Basia1000/58

Errando solitario

a cura di Alice Gavazzi e Francesca Santi

special guest @egyzia

L’oggetto del desiderio venuto a mancare, il degrado e la delusione.

È un disperato Catullo, quello che ci parla. Che cosa ci racconta? La sua Lesbia, amata tanto e tanto a lungo, sta vagando per i sobborghi di Roma. Da sola? Certamente no: i nipoti del magnanimo Remo sono nelle sue grinfie. Amanti occasionali, come in precedenza è stato lo stesso Catullo, clienti di una fedifraga donna che non esiterà a gettarli dopo l’uso.

Il poeta ci rende partecipi di una confessione disperata di fronte all’impossibilità di essere ricambiato in pari misura e intensità per un amore sentito, con angosciosa lucidità, come totalizzante.

Il commovente flashback iniziale, la dichiarazione ad un ammutolito Celio, di un sentimento che era giunto ad escludere tutti gli altri, è posto brutalmente a confronto con il degrado del presente che, in un abisso senza fondo di depravazione morale, capovolge drammaticamente il rapporto tra i due.

Lesbia, la bella senz’anima, l’unica per Catullo, è ora di tutti e a loro si concede senza ritegno, nello squallore umiliante di luoghi malfamati, da sempre simbolo di corruzione e perversione. Rapidità di fuggevoli incontri e casualità di approcci con partner occasionali illuminano sinistramente la sfrenatezza sessuale e la totale mancanza di ritegno della “puella”, che resta ancora, comunque, colei che “Catullo amò più di sé stesso e tutti i suoi.

Tuttavia, in questo caso, la frustrazione del poeta non si riversa nella perfida invettiva del carme 37, ma assume toni cupi e rassegnati, indici di un amore volto al termine, che effettivamente poteva essere chiamato amore solo da una parte. Parte che non trova quiete e rifugio, destinata a vagare solitaria nella coltre nebbiosa degli amori non corrisposti


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#Basia1000/51


L’Amore: dolceamara indomabile fiera

a cura di Chiara Bugelli, Stefano Martelli, Asia Pagliai, Ilaria Sichi

Guest star @ComePrincipe

“Mancamenti, brividi, agitazione e affanni”.

Se poteste chiedere a Catullo cosa abbia provato alla vista di Lesbia, vi risponderebbe così.

Non sono anche queste condizioni intrinseche all’Amore?

Il vortice emotivo più potente, al quale tutti sono soggetti, e del quale tutti devono accettare sia le gioie sia le sofferenze.

Sovrane di questo carme sono le trepidazioni e le esaltazioni del sentimento amoroso.

Catullo si sminuisce a confronto dello sconosciuto che dialoga con Lesbia; in quanto questo resta impassibile alla vista della sua amata, mentre lui, non appena la vede, si sente svenire.

È un carme d’amore, come dolce eppur potente tormento, che scuote e sfianca l’anima.

Porta in sé i tratti più disarmanti del sentimento amoroso e gli effetti psicologici che esso comporta sull’uomo.

Il testo è modellato su una celebre ode di Saffo, poetessa greca del VI secolo a. C. che per prima trattò l’amore con simile profondità, fino a definirne una vera e propria fenomenologia.

Catullo la venera e tenta di emularla attraverso il consueto procedimento di emulazione, proprio dell’arte antica.

Eppure il testo catulliano, identico all’originale nella traduzione, pur con lievi varianti legate al sentire tipicamente virile e tipicamente romano dell’autore (v.2 si fas est; v.3 identidem), mostra significative differenze nell’ultima strofa.

Il poeta fugge dal suo ormai troppo aspro desiderio e si rifugia ipocritamente nel mos maiorum, addossando la colpa al tanto professato otium.

Quando si è innamorati follemente come il poeta, si devono affrontare ostacoli indomabili per  l’animo umano.

Così Catullo continuerà ad amare e a soffrire immensamente, non ammettendo mai che il suo amore è in realtà autodistruzione.

sfy.co/sGPj

#Basia1000/43

a cura di Matteo Bizzarri, Francesco Filoni, Micheal Matteini, Ilaria Sichi, Francesca Santi

special guest @TristeMietitore

Una mela al giorno toglie il medico di torno

Signore e signori, benvenuti alla XLIII  edizione di Miss Liber, il concorso di bellezza che ha provocato più scoop di Miss Italia 2013.

A competere tra loro a suon di tacchi e gioielli vediamo giungere sul palco romano le ragazze più frizzanti dell’Urbe e dintorni.

Tra queste risalta Lesbia, per bellezza e … raccomandazioni.

E’ risaputo, infatti, che uno dei giudici si è completamente invaghito di lei.

La divina Lesbia raggiunge il centro della scena con una camminata sensuale e orgogliosa, tanto da far risaltare le sue dolci curve proporzionate: il pubblico è entusiasta e sembra aver già nominato la vincitrice, mentre questa si pavoneggia e manda bacetti e occhiolini accattivanti verso la giuria.

Sembra avere la vittoria in pugno, fino a quando raggiunge il palco una sconosciuta che compete con lei per il titolo di “più bella”.

Catullo è sdegnato: chi osa far paragoni tra la sua stella ed una grossolana provincialotta? La nuova arrivata non è nemmeno degna di legarle di scarpe: con quelle mani grandi e tozze, del resto, non sarebbe possibile! Per non parlare dei suoi piedoni e della sua parlata.

Catullo va su tutte le furie e, preso dalla rabbia, scaglia a terra la tanto ambita mela d’oro- premio della competizione poichè da sempre simbolo di bellezza e seduzione – e la rompe in mille pezzi.

Le concorrenti si precipitano verso i frammenti del tanto ambito trofeo, come le invitate sul bouquet della sposa e ognuna si impossessa di una piccola parte.

Adesso tutte hanno almeno un pizzico della mela con su scritto “alla più bella” e sono dunque tutte vincitrici.

Caro Catullo, ci dispiace deluderti, ma gli occhi non cadono più soltanto sulla tua bella Lesbia:

del resto “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”.

Ecco il link allo storify:

#Basia1000/39

“RIDI PAGLIACCIO” … e mangia una mentina!

a cura di Giovanni Albergucci, Matteo Bizzarri e Francesco Filoni

Guest star @LaPausaCaffe

 

Nel Carme XXXIX, Egnazio, unico protagonista del componimento, diventa il “parafulmine” di quella furia già conclamata da Catullo nel Carme XXXVII.

La sua travagliata condizione di amante ferito nell’orgoglio ha necessità di riversare la frustrazione che lo attanaglia su un capro espiatorio, non a caso individuato nell’amante prediletto da Lesbia.

Il celtibero Egnazio presta il fianco alle offese del poeta, in quanto il componimento si concentra quasi esclusivamente sulla sua poco elegante mania di sorridere in ogni situazione, soprattutto in quelle meno opportune.

Con un interessato sguardo al presente, si può sostenere che questa abitudine si sia protratta nel tempo, fino a diventare oltremodo inflazionata nella nostra attualità: in un periodo in cui certi individui hanno tutta l’intenzione di mistificare una realtà – la nostra – che altrimenti farebbe piangere, assistiamo al brillio di splendide dentiere smaltate con ‘AZ Whitestrips’.

Catullo attacca Egnazio da ogni punto di vista, ricordandogli, in particolare, che non appartiene al mondo della “urbanitas” di cui il poeta si fa impropriamente paladino – dopotutto, Catullo giungeva dalla provincia di Verona.

Tuttavia, mentre egli, a discapito della propria condizione di nascita, aveva acquisito tutti i tratti caratteristici di un perfetto cosmopolita, il prode tronista rimase ancorato allo status di “provincialotto”.

In molti potrebbero trarre preziosi insegnamenti di stile e di buongusto: ancora una volta l’antico è più attuale del presente stesso!

#Basia1000/37

I quartieri dove il Sole del buon Dio non dà i suoi raggi”

a cura di Giovanni Albergucci e Matteo Bizzarri

Giovanni Boldini, Ballerina spagnola al Moulin Rouge, 1905. Collezione privata.

Giovanni Boldini, Ballerina spagnola al Moulin Rouge, 1905. Collezione privata.

Non è scontato leggere il Carme 37 tra i banchi di scuola.

Il testo rimane spesso relegato in ambiti squisitamente letterari e, magari, capita per caso tra le mani di qualche fruitore occasionale.

Ci si domanda se ciò accada per una recidiva pudicizia di matrice ecclesiastica o per un presunto contegno che – si pensa – debba essere implicito negli ordini scolastici tradizionali.

Molti testi del Liber sono ricchi di immagini ‘forti’ e di esplicite allusioni sessuali (si pensi al carme 11 o al 58, solo per citare alcuni esempi), ma l’aura maledetta che circonda il carme 37 sembra averne determinato la censura e una vera e propria messa al bando dalle aule.

In realtà, per chi spenda cinque minuti in più ad approfondire le cause di tanta efferatezza linguistica, senza arrossire con la manina davanti alla bocca aperta a “O”, l’effetto è quasi afrodisiaco.

Infatti, se mai vi è capitato di soffrire, di piangere, di urlare, subendo il grigio compagno che sempre l’amare porta con sé, vale a dire il rischio di essere traditi, allora vi troverete tanto in sintonia con l’autore da stabilire con lui quasi un contatto telepatico.

Qui vediamo l’acme della rabbia di Catullo nel suo iter d’amore. Ma non una qualunque e temporanea ira, all’ordine del giorno nelle consuete coppiette.

La rabbia che tutto condiziona inesorabilmente, a partire dalle percezioni, dalle sensazioni.

Noterete come la ‘Taberna‘ quasi prenda vita agli occhi del poeta, alimentandosi dei giochi perversi di Lesbia, puzzando della mista di odori acri e palpitando insieme alle centinaia di amanti. È come se calasse un filtro davanti agli occhi di Catullo e tutto diventasse cremisi come il sangue che gli sgorga dal cuore.

A questo punto, dopo la successione di improperi rivolti agli schifosi avventori della bettola, quello che davvero colpisce è il rifulgere dei vv.11-13, che trapassa fin dentro le ossa, come i raggi del Sole in inverno: un riflesso, una rievocazione di quella donna ‘tanto amata quanto nessuna sarà mai‘.

Ecco ingigantirsi lo squarcio emotivo che invelenisce la lingua del poeta, scatenando l’accezione più profonda e tragica dell’amore, cioè una sofferenza senza fine.

Per il poeta, sarà certamente un fattore incisivo nella ‘recisione del fiore, a margine del prato‘, di cui abbiamo parlato nel Carme 11.

Dopo l’amore per Lesbia davvero non ne verranno altri: l’anima e il cuore del ‘miser‘ ne usciranno talmente corrotti, da ripercuotere i loro effetti mortiferi anche a livello fisico.

Catullo morirà all’età di trent’anni – per quanto ne sappiamo – proprio in parallelo con la morte del suo amore.

#Basia1000/36

Opera d’inchiostro

a cura di Alice Guerrini e Simone Orsatti

Quale soluzione migliore alle pene di Catullo se non un bel falò  per togliere a triste sorte i suoi “truces iambos” e bruciare invece gli Annali di Volusio, quelli davvero “il fior del peggio”?

Catullo, con questo carme, coglie l’attimo fuggente e con estrema ironia intreccia il suo folle amore per Lesbia con il suo disprezzo per la sciatta poesia epica, scagliandosi sul  “poetrastro” Volusio, sconosciuto finora ai più.

Finalmente i due amanti si sono riappacificati e Lesbia pur di riconquistare l’onore infangato dai “truci giambi” e riavere l’amato Catullo promette di bruciare ” i migliori versi del peggior poeta.”

Catullo, maestro della retorica e della dialettica, gioca con ablità con lingua e stile rendendo il carme gioioso e naturale, scrivendo non di certo “cacata carta”.