di Alice Guerrini
Nel suo celebre romanzo, La Casa in Collina, Cesare Pavese afferma che “la vita ha valore solamente se si vive per qualcosa o per qualcuno”.
Tutti possiamo riconoscerci in quest’affermazione: passiamo la maggior parte del tempo a impiegare anima e corpo in ciò che amiamo, in ciò che ci rende felici, cercando sempre di migliorarlo e renderlo perfetto, che si tratti di un lavoro, di uno sport, una relazione, un’amicizia o una forma di volontariato.
Fin da piccoli cerchiamo qualcosa con cui poter spiccare sugli altri, per esempio una caratteristica distintiva e unica. Quando lo troviamo, questo qualcosa diventa il nostro punto di riferimento e vivere di questo – e per questo – rappresenta un po’ una ragione di vita.
Vivere per le nostre passioni, per i nostri progetti, spesso comporta molti sacrifici e rinunce, che vengono fatte comunque con serenità. Per far decollare un nuovo lavoro, una nuova attività togliamo tempo alla famiglia, agli affetti, investendo a volte anche soldi, pensando che tutto questo verrà poi ricompensato dalla soddisfazione di vederci realizzati, di veder andare a gonfie vele la nostra attività.
Talvolta viviamo per rendere più felici persone meno fortunate di noi, riuscire a farle sorridere, aiutarle in qualsiasi modo sia possibile senza voler niente in cambio, salvo la consapevolezza di aver alleviato, anche se per poco, il dolore di un altro essere umano.
Coltivare amicizie vere e sincere, costruire una famiglia, avere sempre qualcuno su cui poter contare e vivere per renderlo felice, volere solo il suo meglio ci accomuna e ci rende simili: un calciatore, per esempio, vive per correre dietro ad un pallone e segnare quel goal tanto desiderato, mentre un musicista si nutre di musica, di accordi, di nuove canzoni, dei suoi CD e delle emozioni del suo pubblico,.
Io non sono né un musicista, né tanto meno un calciatore, ma vivo e lotto per riuscire a diventare almeno uno dei due. Il pallone e l’ i-Pod sono i miei migliori amici, ottimi alleati nei momenti di gioia e in quelli di tristezza. Amici, sì! Loro non mi tradiranno mai.
Montare in sella al mio cavallo e correre lontano respirando forte: ecco quello che voglio.
Ho imparato e capito, grazie a recenti esperienze personali, che vivere per qualcosa è diverso da vivere per qualcuno e quindi mi ritrovo solo in parte in quello che scrive Pavese.
Credo che vivere per qualcuno sia la cosa più sbagliata da fare: vivendo per qualcuno si tende ad annullarsi, a tenere più al suo bene che al proprio, si fa diventare quella persona il centro della nostra vita e il nostro mondo, si vive in sua funzione, ci si affida alla sue cure, lo si fa diventare il proprio punto di riferimento.
La maggior parte delle volte succede che questa persona ci volti le spalle e in un batter d’occhio allora il mondo crolla addosso facendoci rimanere lì, indifesi, senza sapere che cosa fare perché tutte le sicurezze sono svanite, soli a ricostruire una nuova vita, con la consapevolezza che il tuo mondo non esiste più.
Penso, invece, che dedicarsi alle nostre passioni non sia sbagliato, perché si vive per quello che ci rende felici e ciò ci fa essere noi stessi e quindi migliori. Vivere per le nostre passioni è l’unico modo per non sentirsi mai soli o incompleti.
Al trentesimo anniversario della morte di Gilles Villeneuve, il più grande pilota di Formula 1, ho letto nel suo libro una frase che mi ha colpito particolarmente: “Se mi vogliono, sono così, di certo non posso cambiare, perché io di sentire i cavalli che mi spingono nella schiena ne ho bisogno come dell’aria che respiro”. Ora, più che mai, lo apprezzo e condivido quest’affermazione, perché vivere per quello che ti fa respirare e che ti fa andare avanti non è mai un errore.
Mi permetto, dunque, di modificare ciò che dice Pavese: “La vita ha valore se si vive per quello che ti rende te stesso”.