Quindici settembre in arrivooooo… Zittelleggi 13

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Da sempre lavoriamo con impegno affinché bambini e adulti stiano bene a scuola, nessuno sia escluso, tutti si sentano accolti e apprezzati. Facile? No, ma ci proviamo.  

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Costantemente riflettiamo sui concetti di “Bisogno Educativo Speciale” e di “inclusione”. Concetti imposti per legge ma con i quali tutti gli insegnanti si sono SEMPRE confrontati, anche se, nel tempo, avevano nomi diversi. L’accoglienza, l’integrazione, l’insegnamento individualizzato sono finalità che appartengono alla tradizione scolastica italiana.

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I bambini arrivano a scuola con un grande bagaglio di conoscenze ed esperienze, di capacità e competenze molto diverso.  Provengono sempre più spesso da realtà diverse. Vivono in paesi e case diversi, hanno famiglie diverse, esperienze, condizioni affettive, storie diverse… geneticamente sono diversi.  I bambini entrano a scuola a partire dai loro mondi, molto diversi. La scuola deve, perciò e necessariamente,  rivolgersi ad ognuno di loro in modo diverso.

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Ogni bambino ha in sè bisogni educativi speciali ma, proprio la gestione di queste differenze e la eterogeneità dei bambini può mettere in condizioni di disagio il sistema scuola. Come si può rispondere in modo individualizzato alle diverse richieste degli alunni, alle varie difficoltà  che ogni alunno incontra nel suo processo di apprendimento nella stessa ora e nello stesso momento?

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 La scuola deve cambiare, pian piano, la sua organizzazione didattica, modificare gli spazi, variare i tempi e rendere il bambino protagonista del proprio percorso di apprendimento.

“Di buone prassi si può parlare quando si ha un’organizzazione adatta non solo a cogliere ma anche a far vivere le differenze: di genere, di cultura, di status, di funzionalità e quindi di abilità e disabilità. Le buone prassi riguardano tutte queste differenze e la buona prassi è una buona organizzazione che permette percorsi e progetti di vita per e nelle differenze. Deve permettere di non sentirsi con un destino segnato e immutabile” (Cannavaro, 2006)

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Una buona prassi, sulla quale abbiamo lavorato lo scorso anno è quella  dell’apprendimento condiviso. Un modo per conoscersi e comunicare meglio, per esercitarsi ad ascoltare per creare un buon clima in classe. Un modo per imparare a star bene con se stessi, migliorare l’autostima, rendere i bambini resistenti agli accadimenti negativi. Una strategia per imparare a discutere e vivere la diversità, per vivere il conflitto come risorsa e non come un problema, “come un modo complesso di comunicare e manifestare dei bisogni, certamente impegnativo per che educa, ma importante nelle sue potenzialità positive” (Carrescia, Faso, Folli, Palmieri, Nessuno escluso, Pearson, 2014).

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Abbiamo lavorato a gruppi di tre e a coppie.

Insomma, lo scorso anno abbiamo utilizzato il lavoro di gruppo, l’apprendimento cooperativo per migliorare il rapporto fra bambini, per favorire l’integrazione e l’inclusione, nonché un apprendimento individualizzato.

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imageimageimageA gruppi di quattro

Momenti dedicati alla lettura

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Leggere per il piacere di leggere. Leggere agli altri. Ascoltare letture.

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Tutto per arrivare a capire che nel gioco e nella vita non si deve sempre vincere o perdere ma si può anche collaborare. Anzi, in certe attività, affinché si realizzino è necessario  dare all’altro qualcosa che ritenevamo già nostro e concluso.

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Abbiamo discusso per risolvere un problema… Che, tutti insieme, siamo riusciti a risolvere… La soddisfazione è stata grande e collettiva.

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Abbiamo scritto racconti a piccolo gruppo e tutti insieme.

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O individualmente…

 

 

 

 

C’era una volta in una casetta un bambino come tutti i bambini, soltanto che aveva gli orecchi da coniglio e per questo se li nascondeva mettendosi un cappello.

Cercava di non levarselo mai, solo in casa lo faceva.

Un giorno, però, mentre andava a scuola due bambini che correvano a gran velocità gli fecero cadere il cappello.

Allora, quando lo videro, cominciarono a ridere a più non posso.

Il povero bambino si mise a correre verso un laghetto piangendo.

Ad un certo punto sentì degli urli. Sentì gridare: “È arrivato, l’orco è arrivato!!!”

Allora il bambino che correva molto veloce avvisò tutti, quasi in mezz’ora.

Tutti si rifugiarono in montagna finché l’orco non si fu allontanato.

Quando l’orso se ne fu andato, perché non aveva trovato nessuno da mangiare, tutti cominciarono a ringraziare il bambino. Gli chiesero se desiderava qualcosa ma lui non voleva niente, chiese soltanto di fare festa e di poter giocare con i bambini.

Tutti dissero di sì ma ad una sola condizione, che non si coprisse più gli orecchi.

Da allora nessuno rise più di lui e fecero festa molto a lungo.

🙂 I risultati sono stati molto interessanti. Da continuare e approfondire.

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